La breve e meravigliosa stagione della Marina di Pisa
Si sa che le esistenze effimere, quelle delle cose amate che hanno vissuto poco, sono anche le più dolci al ricordo, e sono quelle che si caricano di tanti e spesso imperscrutabili significati. Così che la loro effettiva e indubbia bellezza ne risulta non solo amplificata, ma anche consegnata ai territori affascinanti del mistero, ai confini tra memoria, oblio, reverie, suggestione e sogno, verità e fascinazione, bugia e immaginazione. E’ forse qui la magia della Marina di Pisa, un luogo dell’anima che forse è stato un luogo reale e fisico, per una breve e fuggevole stagione.
Altra cosa e altra storia è quella della Versilia, terra di marmi e di carnevale, di sabbia e mare blu, con la Apuane incombenti, minacciose e spettacolari, trampolini della fantasia verso l’infinito, incubatori di arte, di poesie, di sudore di cava e di passioni anarchiche. Vicus regius, Viareggio c’era forse da tempo immemorabile, ma Viareggio è la Versilia che si fa città, che si condensa in una piazza fatta a strada, un po’ viale e un po’ terrazza, un po’ vetrina e un po’ luogo di incontro per versiliani in cerca di capitale. “Near Via Reggio where Shelley’s body was found”, Viareggio è un modo di indicare un luogo la cui forte identità è diventata tanto materiale, da rendere possibile la confusione tra vero e falso, tra geografia e cosmogonia. Così diventano versiliani Moravia, Maraini, Carrà, Repaci, ed Eric Maria Rilke, e mille altri da aggiungere a Lorenzo Viani, o Puccini, o Mario Tobino.
E che dire della Maremma. “A me mi pare una Maremma amara…” E’ sicuramente morta la vecchia maremma, e non è morta di vecchiaia e forse neppure di morte naturale. Certo che la storia delle maremme veniva da molto lontano, e non era solo una storia di mute di uccelli e di persone ammazzate dalla malaria. La maremma, il nostro sud vicino, pare una landa sconfinata che arriva fino a Burano, al Chiarone, e forse di più. Foreste e paduli, botri e forteti, pianure e acquitrini, ma anche montagne, e borghi, e folaghe germani beccaccini, voli e caprioli, tori e butteri. E meriggi e meriggiare, e il mito di Tibursi e della sua scellerata compagnia. Una gastronomia e i tratti di un carattere e di una cultura millenaria, una costola costituiva dell’essere pisani o livornesi, una parte dell’animo toscano.
Nel mezzo, tra Versilia e Maremma, ci sono Pisa e Livorno. Boccadarno fa storia a sé. E’ la foce dell’Arno che dà un senso alla toscana intera; perché è evidente a tutti che la grande pianura toscana è una creazione dell’Arno, del suo movimento dall’appennino fino al mare, sempre più verso quella Capraia e quella Gorgona che pareva dovessero essere raggiunte, come i salami in cima all’albero della cuccagna. E dalla Bocca d’Arno, verso la toscana, entrano cheppie e cèe, entrano civiltà e culture, entrano San Pietro e Rutilio Namaziano. Eppure, Boccadarno scompare per centinai di anni. Si allontana dalla Città, la città perde il mare e un po’ alla volta perde praticamente tutto, a parte l’Università e la memoria distorta di un passato di gloria.
“Ho passato questi giorni in una quiete profonda, disteso in una barca al sole. Tu non conosci questi luoghi, sono divini. La foce dell’Arno ha una soavità così pura che non so paragonarle nessuna bocca di donna amata.” Scrive così Gabriele D’Annunzio nel 1899. Il luogo, la foce dell’Arno, è praticamente illibato, da pochissimi anni divenuto accessibile dalla Città e abitabile. Lame e cotoni, la parte finale del fiume è un grande acquitrigno, che però verso il mare, dopo i poggi e la pineta, disvela una spiaggia bianca di sabbia senza polvere. Dal 1876 si arriva percorrendo la via dell’argine, e dal 1892 è entrato in funzione il trenino, con le rotaie che percorrono tutto il viale e che a Boccadarno curvano vistosamente per essere parallele alla costa e andare verso il paese. Il Vate costruisce la parte nobile del mito, quella che presto diventerà mitologia e ideologia della Marina di Pisa. A far crescere la sostanza, oltre ai patrizi che scelgono allora questi luoghi per costruire le loro belle dimore, contribuiscono diversi soggetti. Imprenditori come Ceccherini, non tanto Gaetano, che morì subito dopo aver impiantato le sue attività di qua d’Arno, quanto il figlio Baldassarre. Perché è a lui che si deve il successo dei suoi bagni, la costruzione di atmosfere conviviali e ludiche, mondane e salutari, la dimensione nuova e affascinante della Marina di Pisa. Ma si capirebbe poco di quella dimensione, se non si indagasse e non si ricostruisse in qualche modo il filone che Pier Luigi Bertelli esplorò, giungendo a parlare di una Marina cinegetica, parola poco usata che vuol significare una particolare attitudine a considerare la caccia e, nella caccia, il rapporto con il cane. Per capire cosa c’entra il cane con il mito di Marina bisognerebbe andare avanti fino a parlare di Eugenio Niccolini, e poi di Giuseppe Viviani e dei suoi cani umani. Ma restiamo ai giorni della nostra narrazione, per ricordare che Marina, Boccadarno, era in realtà una tenuta di caccia. Tutto il delta della colmata di Arnino, dai Bufalotti al mare, tutta la Fattoria di Arnovecchio, al pari di San Rossore, erano un grande paradiso di fauna venatoria. Le parole che usiamo oggi, compromesse dal significato ambiguo che ormai viene attribuito alla parola “caccia”, non rendono l’idea, tradiscono la storia. Che la natura animale era veramente tanta, tanta quella stanziale, tanto quella migratoria, tanto quella di penna e tanta quella di pelo. La selvaggina era dei signori, e i signori, ai quali dedica il Riccomini la sua celebre carta (La “Pianta Guida della Reale Tenuta di Tombolo per uso dei Signori Cacciatori”, 1904), i signori erano cacciatori. Il mito della marina di Pisa si compendia nella barca dove d’Annunzio passa disteso la sua stagione, il pomeriggio al bagno signorile dei Ceccherini, la sera e la notte alle grandi feste all’Hotel Ascani, finchè la musica, al mattino, si mescolava ai tuoni degli spari dei primi cacciatori. Eccolo, il mito.
Un mito che tramonta presto, un mito che si dissolve mentre cresce. Se ne vanno i signori, e le loro meravigliose case sono occupate da quelli che per soldi le accudivano d’inverno. Se ne va la spiaggia, già dai primi del secolo nuovo, il 900. Se ne va Boccadarno, la cui pace è violata e bestemmiata dal rombo degli idrovolanti. Continuano le feste alla Pensione Ascani, che diventano via via e sempre più occasioni pacchiane di ostentazione di una mondanità al tramonto. Alla Marina di Pisa e al suo mito succede un po’ come al sorriso inquietante del cheshire cat, lo stregatto, che Lewis Carrol narrava continuasse a sopravvivere, a farsi vedere, mentre l’animale lentamente scompariva.