‘CAPACI’ DI PENSARE – VENTOTTO ANNI DOPO, IL DESIDERIO DI LEGALITA’ CONTINUA AD ARDERE
Sicilia. 23 maggio 1992. Ore 17.58. 500 kg di tritolo fanno saltare in aria un tratto dell’autostrada
A29 che collega Palermo a Trapani, quello dello svincolo per Capaci. Il piano, studiato fin nei
minimi dettagli, è andato in porto. La strage è compiuta.
Cinque le vittime. Gli agenti della scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo. Non
solo tre poliziotti che avevano consapevolmente scelto di servire lo Stato, di proteggere un uomo
che in nome di quello Stato e della sua terra si batteva ogni singolo giorno contro tutto e tutti, ma
anche e soprattutto tre uomini con una storia alle spalle, dei sogni da realizzare e delle speranza da
coltivare, per loro e per le loro famiglie. Tra le vittime anche Francesca Laura Morvillo, una donna
e un magistrato che volle affiancare il suo compagno di vita anche quando questo divenne rischioso.
E, infine, il giudice Giovanni Falcone, l’uomo che, «per spirito di servizio», osò sfidare Cosa Nostra
perché sognava un mondo più pulito, più giusto, più bello. Lui che in quella terra martoriata e
sciupata da un male fin troppo radicato ci era cresciuto, scorrazzando tra le vie di uno dei quartieri
più storici della città, quello della Kalsa, lo stesso di Tommaso Buscetta e altri ragazzini futuri
mafiosi, ma anche lo stesso dell’amico, collega e “compagno di lotta” Paolo Borsellino.
Quell’amico che, 57 giorni dopo, sarà fatto esplodere allo stesso modo sotto casa della madre, in
Via D’Amelio, insieme ai cinque uomini della scorta: Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter
Eddie Cosina, Claudio Traina ed Emanuela Loi.
Delle stragi che hanno lasciato dei ricordi indelebili e un vuoto incolmabile in tutti gli italiani e
proprio per questo abbiamo il sacrosanto dovere di ricordare, di essere liberi di pensare con le
nostre teste perché queste morti non siano state vane.
È proprio per ricordare e consegnare ai posteri la loro memoria, le loro idee e i loro insegnamenti
che il 23 maggio di ogni anno, a partire da quel 1992, si celebra la Giornata nazionale della legalità.
Quest’anno, non essendo possibile svolgere le abituali manifestazioni, Maria Falcone, presidente
della Fondazione intitolata a suo fratello Giovanni, ha lanciato un’iniziativa, rilanciata da ANCI,
invitando studenti e cittadini ad affacciarsi dai balconi di casa, appendendo un lenzuolo bianco, un
tricolore o degli striscioni, in silenzio o cantando l’Inno d’Italia: lo slogan di questo 2020, infatti, è
“Il mio balcone è una piazza”.
Anche Pisa ha aderito all’iniziativa stendendo dal balcone di Palazzo Gambacorti un lenzuolo
bianco; alle 17.57, poi, il vicesindaco Raffaella Bonsangue, indossando la fascia tricolore, ha
celebrato un minuto di silenzio, così come avveniva contemporaneamente in tutti i comuni d’Italia.
Un gesto simbolico che ha voluto ricordare e rendere omaggio a tutti quegli uomini che si sono
battuti per le loro idee, per lasciare in mano ai loro figli un mondo migliore; per il loro sacrificio,
dunque, e per il loro insegnamento perché ci hanno mostrato il coraggio di lottare.
Ed è questo che dobbiamo far conoscere e tramandare di generazione in generazione, per questo
saremo loro grati per sempre.
La storia ci ha insegnato che spesso in Italia la legalità ha un retrogusto amaro. Il nostro compito
ancora oggi, a ventotto anni di distanza da quelle stragi che lasciarono sgomenta una nazione intera,
è l’impegno: impegno a credere negli ideali di giustizia e legalità e perseguirli sempre; impegno a
migliorare; impegno ad essere sempre e comunque “capaci” di pensare perché se è vero che gli
uomini passano, le idee no, quelle continuano a restare e a vivere e diffondersi su altre gambe.
E questo notevole impegno spetta soprattutto ai giovani perché, come diceva Borsellino, «se la
gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo».
E allora sbarriamogliele queste porte. Riflettiamo, ribelliamoci, agiamo!