Come Una Fenice
Il ricordo di quel drammatico 31 agosto sempre vivo nel cuore dei pisani
Case colpite, lungarni semidistrutti, ponti che crollano, la stazione della città completamente devastata e un quartiere quasi cancellato dalla polvere e dal fumo. Il ticchettio assordante delle lancette di un orologio per scandire i 10 minuti più lunghi e traumatici della storia di Pisa.
Bastarono 10 minuti, la mattina di quel 31 agosto di 77 anni fa, ai 152 velivoli americani, decollati dalle coste africane, per assediare dall’alto la città e raderne quasi completamente al suolo la zona sud-ovest. Più di 1000 bombe furono sganciate – le prime delle quali sulla centrale elettrica di Porta a Mare –, oltre 400 tonnellate di esplosivo si sprigionarono nell’aria: la strage era compiuta, il bilancio doloroso. Il numero delle vittime non è mai stato ben chiaro, di sicuro oscillò tra le 982 e le 2500 e molti di quei corpi oltretutto non furono mai ritrovati.
«Mia nonna mi raccontava che la maggior parte dei morti che furono trovati alla stazione morirono affogati perché, rifugiatisi nel sottopassaggio, furono sommersi dall’acqua quando le bombe colpirono le tubature. Molti dei morti che giungevano all’ospedale, inoltre, erano tutti neri, completamente neri e non si riusciva a capire come mai» – racconta chi, in quei tristi momenti, è stato catapultato solo dalle parole di una testimonianza.
Un’azione forte, cruenta, ma un obiettivo preciso: terrorizzare la popolazione, cercare di distruggere o quantomeno mettere in disuso gli stabili utilizzati per la produzione di armi belliche e, soprattutto, indurre il Paese intero alla resa. Pisa, infatti, non fu certo la prima città italiana ad essere colpita: la strategia d’attacco aveva visto il principio il 15 maggio 1943 quando gli Stati Uniti avevano bombardato Civitavecchia, seguita, quattordici giorni dopo, da Livorno; il primo giugno fu la volta di Foggia, poi Pantelleria, Augusta e Cagliari, il 19 luglio Roma e il 24 Bologna. Il 25 luglio, intanto, il Gran Consiglio del Fascismo aveva ormai sfiduciato Mussolini, determinando la caduta del regime, e il governo fu affidato a Pietro Badoglio, il quale avviò tempestivamente le trattative con gli Stati Uniti per la firma di un armistizio che, infatti, avrebbe avuto luogo poi il 2 settembre 1943.
Una tregua che, seppur ancora ufficiosa, era ormai una certezza: fu questo a cogliere di sorpresa tutti e, in particolare, i pisani al momento dell’attacco.
Un gesto efferato, ingiustificato, che ha causato la morte di tanti innocenti e la distruzione di parte di una città, della sua storia, del suo essere.
Tutto in fumo, le fiamme padrone indiscusse, tutto ridotto in cenere. Eppure, proprio da quelle stesse ceneri la città si è risollevata e pian piano ha ricominciato a germogliare, attenta ad irrigare e non calpestare mai il fiore del ricordo, l’unico che potesse restituire dignità e valore alle migliaia di vittime.
Anche quest’anno, dunque, a 77 anni di distanza, la città si è preparata per commemorare quel lontano 31 agosto: la consueta deposizione, alla presenza delle autorità cittadine e provinciali, di una corona di alloro sulla lapide in memoria delle vittime del bombardamento del quartiere di Porta a Mare presso il Sostegno del Canale dei Navicelli (via Porta a Mare) alle ore 11.15 è stata seguita dalla celebrazione della Santa Messa nella Chiesa di San Paolo a Ripa d’Arno alle ore 12.00.
Come un’araba fenice la città di Pisa è riuscita a risollevarsi e a rinascere dalle sue ceneri, a noi spetta l’onere di rievocare e raccontare per poterne serbare sempre vivo il ricordo.