IL CORAGGIO DI OSARE
Al Museo della Grafica di Pisa una mostra per ripercorrere le impronte lasciate da
Adriano Olivetti in Toscana
Primo maggio. Festa dei lavoratori. In condizioni diverse si sarebbe scesi in piazza per prendere
parte a qualche manifestazione o ci si sarebbe organizzati per partecipare ad uno di quei mega
concerti divenuti ormai consuetudinari nelle piazze delle città d’Italia. Ma questo sarà un primo
maggio, diciamolo pure, sui generis. In piena pandemia siamo chiusi tra le mura delle nostre case.
Possiamo, però, soffermarci a riflettere su ciò che è stato, sui come e sui perché. Questa giornata
non è sempre stata come l’abbiamo vissuta noi finora. Nota in origine per la riduzione della giornata
lavorativa – le tanto ambite “otto ore” –, fu istituita per commemorare tutti quei sanguinosi episodi
che hanno macchiato le pagine della storia non solo italiana, ma addirittura mondiale, tutte le lotte
che i lavoratori hanno fatto per vedersi riconosciuti i loro diritti. Ed ecco, allora, che immersi in
questi pensieri sulla poltrona di casa, nella mente subito riaffiora il ricordo di un imprenditore, un
uomo che proprio ai lavoratori ha dato sempre assoluta priorità e rilevanza: Adriano Olivetti.
Un genio eclettico. Una mente multiforme e innovativa. Imprenditore visionario. Un uomo, in
primis, attento alle esigenze degli altri uomini che lavoravano per e con lui. Questo e molto altro si
potrebbe dire di Olivetti. Un magnate con il sogno di creare una fabbrica ‘a misura d’uomo’
«perché questi trovasse nel suo ordinato posto di lavoro uno strumento di riscatto e non un
congegno di sofferenza». Un progetto che ruotava tutto attorno al rispetto della persona e alla sua
completa realizzazione, attraverso il lavoro. Un progetto certamente ambizioso, ma non impossibile
perché messo in atto nella totale convinzione che ci fosse «al di là del ritmo apparente qualcosa di
più affascinante, una destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica». Spinto da
queste convinzioni, Olivetti portò la sua fabbrica di Ivrea, e tutte le altre ad essa annesse, ad essere
all’avanguardia. Riuscì, infatti, ad organizzare un articolato sistema innovatore di servizi sociali –
come uffici, case per dipendenti, mense, asili nido, ecc. – che furono pian piano affiancati
all’impresa originaria. Fu lungimirante sotto tanti punti di vista e adottò svariate misure, avendo
sempre come priorità il benestare dei lavoratori.
Viene naturale, a questo punto, pensare che proprio qui a Pisa il 13 aprile si sarebbe chiusa una
mostra, inaugurata lo scorso 20 dicembre, che ripercorreva il legame tra Adriano Olivetti e la
nostra regione, la Toscana, servendosi di tre elementi chiave: territorio, comunità, architettura.
Allestita al Museo della Grafica e organizzata dall’Università di Pisa, la mostra è stata curata da
Marco Giorgio Bevilacqua, Mauro Ciampa, Lucia Giorgetti, Stefania Landi e Denise Ulivieri, con
la collaborazione della Fondazione Centro Studi sull’Arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti –
storico dell’arte, normalista, presidente del Comitato Toscana di Liberazione Nazionale e
Professore dell’Università di Pisa fin dal 1948 – e dell’Associazione Archivio Storico Olivetti.
L’idea di organizzare questa mostra è venuta ai curatori, quasi per caso, nel 2016 durante una
tranquilla passeggiata nella zone dei Vecchi Macelli di Pisa. «Ci trovavamo lì con il fotografo
Gianluca Giordano, che ha scattato le immagini che fanno parte del dossier di candidatura
UNESCO di “Ivrea città industriale del XX secolo” e chiacchierando ci immaginavamo di esporre
le sue fotografie nello spazio Ex-Macelli. Ragionando in libertà, ci siamo detti che quella location –
che ospitava, tra l’altro, il primo Elaboratore Elettronico Automatico, l’Elea 9003 – sarebbe stata
perfetta per creare un collegamento spazio temporale con la Olivetti di Ivrea. Dopo questo primo
immediato rimando tra Pisa e la città eporediese, ci siamo chiesti se ci fossero altri punti di contatto
tra le due realtà e da qui è partita la nostra ricerca scientifica sulle orme della Olivetti in Toscana» –
ha raccontato Lucia Giorgetti, che si è fatta portavoce anche dei suoi colleghi e compagni
d’avventura.
Un percorso partito da Massa, dove Olivetti aveva fatto costruire la fabbrica Synthesis e la
Palazzina Spazio, per spostarsi poi nella Marina, con una sosta nel fiorentino per poi convogliare in
Valdera, dove i curatori hanno rintracciato Francesco Bagatti, fondatore del Movimento Comunità
in Toscana. Nel corso di questo viaggio, i curatori si sono messi alla ricerca di testimonianze dirette,
contatti con quegli uomini e quelle donne che, a vario titolo, avevano avuto rapporti diretti con
l’Olivetti. Racconti, storie e ricordi differenti di chi ha vissuto quel periodo e da quell’onda
innovativa fu travolto in prima persona, ma da tutti emerge uno stesso sentimento di orgoglio,
dignità, entusiasmo provato in quegli anni di lavoro in fabbrica e che è ormai indelebile in loro. Una
mostra che, concepita inizialmente come prevalentemente fotografica, ha poi rivelato con
naturalezza e allo stesso tempo con forza il suo carattere scientifico, accompagnata anche da
materiali d’archivio – lettere, mappe, materiali audiovisivi – spesso anche inediti. L’obiettivo dei
curatori, tuttavia, è molto più ampio perché si propone di «continuare la ricerca fin qui intrapresa
perché nel nostro percorso di studio ci siamo resi conto che ci sono temi ancora poco sondati o che
non sono stati messi a sistema in ambiti di ricerca più ampi».
Non solo per la Toscana, ma soprattutto per Pisa Adriano Olivetti ha avuto una sorta di «intuito
visionario» che lo ha portato a riconoscere il potenziale che Pisa, con le sue eccellenze, aveva da
offrire. Proprio da qui si snoda il percorso della mostra, da quel geniale fiuto che, avvalendosi
sempre della collaborazione di persone con spiccate capacità intellettuali e artistiche, decise di
investire nell’Elettronica a Pisa e che lo portò ormai sessantacinque anni fa, il 7 maggio 1955, a
firmare una convenzione con il rettore dell’Università di Pisa Avanzi. Da questa collaborazione
«nel Laboratorio di Ricerche Elettroniche ubicato in una villetta in via del Capannone a
Barbaricina, nasce la CEP, la Calcolatrice Elettronica Pisana» – continua la Giorgetti.
Questa collaborazione fu significativa per l’ateneo pisano, tanto che quando lo stesso Olivetti decise
di spostare il laboratorio a Borgolombardo, a Pisa la strada dell’elettronica e dell’informatica ormai
era stata imboccata. Solo qualche anno dopo, infatti, nel 1969, con il contributo dell’allora rettore
Alessandro Faedo e del matematico Gianfranco Capriz, fu istituito, primo in Italia, il corso di laurea
in Scienza dell’Informazione, «che pone ancora oggi l’Ateneo e la città di Pisa all’avanguardia nella
rivoluzione digitale che ha trasformato la nostra quotidianità e le nostre vite» – tiene a precisare la
curatrice. Un apporto che contribuì in maniera considerevole alla crescita della ricerca pisana e che
portò poi proprio la città di Pisa ad essere il luogo dal quale, il 30 aprile 1986, partì la prima
connessione a Internet.
Un’idea nata per caso, quindi, è riuscita a concretizzarsi in un progetto che ha raccontato in maniera
esemplare un percorso biografico e lavorativo, quello di Adriano Olivetti, singolare e illustre. Un
uomo che ha dato un apporto significativo alla cultura e ha contribuito notevolmente alla crescita
sociale. Un industriale la cui genialità stava nell’essersi calato nei panni dell’altro, nell’aver
empatizzato con chi considerava non come suo subalterno, ma suo prezioso collaboratore, il
lavoratore appunto. Dal suo apprendistato come operaio, infatti, trasse una convinzione che sarà poi
nevralgica per tutte le decisioni e azioni successive: «Occorre capire il nero di un lunedì nella vita
di un operaio, altrimenti non si può fare il mestiere di manager, non si può dirigere se non si sa che
cosa fanno gli altri».
Questa sensibilità, questo spiccato intuito, questa fame di costruire un mondo migliore, più a misura
d’uomo appunto, non potevano che essere svelati. Ed è stato fatto egregiamente.