Nell’Odeon…del silenzio
La rivoluzione messicana e la storia del cinema raccontate in pagine fascinose
Quanto rumore può fare un attimo di assoluto silenzio?
Tanto, troppo forse.
Come quello suscitato negli ultimi critici giorni, a seguito della chiusura di cinema e teatri stabilita dal nuovo DPCM per contrastare la diffusione del virus che nell’ultimo anno ha fatto in modo che ridisegnassimo i nostri piani.
Rumore, sconcerto, sdegno è ciò che è subito scaturito.
Ma può un qualcosa che è stato temporaneamente “imbavagliato” originare così tante parole, far venire voglia di parlare?
Lo sa bene Paco, un uomo che crede di essere nato non per fare atti eclatanti e rivoluzionari, ma semplicemente «qualcosa con il cinema»; un uomo per niente abile con le parole «perché appena mi spavento mi si intreccia la lingua e mi si gonfia in bocca. L’unica cosa che so fare è mostrare agli altri cose che fanno emozionare. Io ho la virtù di stare zitto, come il mio cinema che è muto. Io so al massimo far venire voglia di parlare, come il cinema che è senza parole».
Un uomo, un padre rimasto solo dopo la morte della moglie, con due figli a carico: il primogenito che porta l’emblematico nome di Auguste-Louis – basti pensare ai nomi dei fautori dell’arte cinematografica, i fratelli Lumière –, un ragazzino in piena età adolescenziale timido e impacciato, e la piccola ed esplosiva Blanca. Sono loro che con uno schermo, tanto grande quanto unico perché «fatto col corredo della mamma», porteranno immagini ed effetti speciali in giro per tutto il Messico. Con un proiettore, una manovella da girare e la tecnica della retroproiezione riusciranno a vincere, nel 1911, il «primo incontro disarmato della storia». Perché se hai ben chiaro in mente che «il lavoro di raccontare è importante» non solo per l’ascendente che possono avere le storie o i film su chi li guarda, ma anche e soprattutto perché puoi aiutare quelle stesse persone «ad aspettare qualcosa di buono», allora non puoi più startene nel tuo, ma portare quella cura palliativa che può essere il cinema – la tua arte, appunto – in giro per il Paese.
Questo e tanto altro si può scorgere nelle pagine di Odeon Campero, libro scritto da Beniamino Sidoti – editor, formatore e autore a cavallo tra narrazione e gioco che fa cose rivoluzionarie e bellissime –, illustrato da Otto Gabos ed edito nel 2017 da Libri Volanti per “Rivoluzioni”, una collana curata da Teresa Porcella e nata dall’idea di «raccontare a chi sta costruendo la propria identità individuale attraverso il cambiamento, quei cambiamenti che hanno segnato l’identità collettiva di tutti».
La casa editrice è una realtà tutta pisana di alto spessore culturale che, insieme al marchio Felici Editori, fa parte del gruppo editoriale Le Impronte e si ripromette di «regalare voli all’immaginazione già libera di bambini e ragazzi perché, attraverso i libri, quella libertà cresca, si perfezioni e si irrobustisca fino a diventare irriducibile».
Il libro è ambientato in un Messico in piena rivoluzione, un sovvertimento che durò per ben venticinque anni e che costò ad un Paese di quindici milioni di abitanti un milione di morti. Una lunga storia di lotte e speranze, tradimenti ed errori colossali che ha portato, però, un’aria di novità, dalla Costituzione messicana del 1917 – nella quale furono sottoscritti, per la prima volta nella storia messicana, i diritti dei lavoratori – ad una scuola che poteva finalmente dirsi un privilegio di tutti.
Come ogni rivoluzione, anche quella messicana ruppe tutti gli equilibri preesistenti e dopo niente fu come era stato. Anche il cinema, poi, fu investito da quest’ondata innovativa, dal momento che «ora, soprattutto c’è anche il sonoro. Ogni film ha una colonna sonora, e si sentono le voci degli attori. Una cosa incredibile».
Un libro che insegna e dal quale si apprende tanto, perché la storia ha sempre qualcosa da insegnarci.
Come questo piccolo racconto che, essendo allo stesso tempo «molto vero e molto falso. Come il cinema», ci rivela una verità che in questo delicato periodo storico appare vera più che mai: l’importanza del luogo e dell’ambiente nel quale si può vedere un film. I film rimangono sempre gli stessi, certo, a prescindere dal luogo che ospita la loro proiezione, ma a cambiare sono i sentimenti e le emozioni con le quali li si vede: più che guardarli, infatti, ci limiteremo a «sbirciarli» – o almeno quella sarà la percezione che si avrà – «come se fossero le vite degli altri».
Che il cinema mostra alla gente «cose che fanno emozionare» e che «deve far venire voglia di parlare», poi, è l’altra grande lezione che il libro ci lascia.
Facciamoci, allora, condurre dalle emozioni che solo il cinema e l’arte in generale sanno instillare, accettando anche di non essere avvolti dal tepore tipico delle sale cinematografiche. Almeno finché è per il bene collettivo.
Resilienza deve diventare il mantra di questi tempi. Resistere nonostante lo sconforto, il disordine, la disperazione, la paura. La paura. Quella che ti lacera, ti consuma, lentamente, ti sviscera. Ma se c’è un’ultima grande cosa che questo libro può insegnare è che «la paura è un’arma» e noi non dobbiamo per niente al mondo lasciare che gli altri possano usarla contro di noi.
Rimaniamo, in silenzio, nel nostro personale “odeon” a contemplare per poter ritornare a vivere, tra la folla, le emozioni suscitate da quelle immagini proiettate su uno schermo.
Un messaggio che, forse inaspettatamente, trapela tra le righe di queste pagine.
Un libro decisamente tutto da scoprire.